06 Set Design Thinking per il comunicatore tecnico
Il Design Thinking è l’insieme dei processi cognitivi, strategici e pratici con il quale la progettazione di prodotti, edifici e macchinari è sviluppata da team di design. Negli ultimi anni il concetto di Design Thinking si è spostato verso l’innovazione di prodotti e servizi. In quest’ottica, il Design Thinking si configura come modello progettuale volto alla risoluzione di problemi complessi attraverso visione e gestione creative.
Quando si sente parlare di Design Thinking per la prima volta, le reazioni sono due:
Accettazione: incollare i post-it sul muro e usare i pennarelli colorati è bellissimo, mi sento super ispirato e cambierò il mondo.
Rigetto: ne abbiamo viste di ogni, la creatività non salverà il mondo o non cambierà nulla almeno nel mio settore.
Inutile dire che entrambe le reazioni non sono le migliori, anche se in generale preferisco l’entusiasmo alla fredda indifferenza. Innanzitutto, capiamo a cosa serve il Design Thinking. Si può riassumere in “Risolvere problemi con un approccio creativo, con team cross funzionali, in tempi rapidi e costi contenuti”
Una manna dal cielo!
Se non fosse che il Design Thinking non è un software da comprare o un processo che può essere semplicemente calato dall’alto e applicato per essere efficace.
Non per nulla si parla di APPROCCIO, che mette in condizione le persone (i team, gli stakeholders in generale) di poter guardare le cose da punti di vista diversi, così da cogliere le sfumature e trovare soluzioni creative e innovative a problemi, processi o prodotti.
Certamente esistono degli strumenti di facilitazione, utilizzati dai coach per aiutare ad applicare questo approccio (i vari Canvas, User Personas, Customer Journey Map, per citarne solo alcuni), ma gli strumenti da soli non servono per raggiungere lo scopo. Serve pazienza, lavoro di squadra e una buona dose di apertura mentale.
Innanzitutto sono importanti 2 cose:
- Trovare un problema da risolvere (mai partire dalla soluzione)
- Assicurarsi che il problema che volete risolvere sia il vero problema
Per spiegare meglio questo concetto, può essere utile questo esempio. AIRBNB nei primi anni faticava ad affittare gli appartamenti a New York. La prima cosa che pensarono fu un problema legato alla zona oppure all’alta densità di affitti standard. In realtà analizzando il problema a fondo si accorsero che negli annunci le immagini era assenti o, quando presenti, erano “orrende”. Prima di implementare una soluzione costosa per risolvere il problema, andarono personalmente a New York per verificare questa ipotesi, parlarono con gli host delle stanze e le fotografarono con una maggiore illuminazione e un arredamento migliore; poco dopo, la richiesta di affitti si duplicò.
Ma il Design Thinking è anche soprattutto un approccio pratico, che ha anche l’obiettivo di ridurre lo spreco di risorse. Ci sono attività che servono ad aprire la mente e ampliare lo sguardo per aumentare le proposte e renderle più creative.
Ci sono due modi diversi di pensare: divergent thinking e convergent thinking. Il “divergent thinking” è un processo di pensiero o un metodo usato per generare idee creative esplorando molte soluzioni possibili mentre il “convergent thinking” è opposto al pensiero divergente e si verifica quando la soluzione di un problema può essere dedotta applicando regole stabilite e un ragionamento logico.
Anche per questo motivo, si lavora a cicli iterativi, con la regola chiave di dover assolutamente imparare qualcosa dall’iterazione precedente (prende spunto dal PDCA, anche conosciuto come ciclo di Deming).
Attenzione! Imparare qualcosa non significa che ad ogni iterazione si deve migliorare, ma che si deve aver capito qual è la direzione giusta da prendere. Le scelte sbagliate vanno comunque bene perché ti insegnano che è meglio non percorrere quella strada.
Impossibile spiegare e capire questo approccio in poche righe, ma lo ritengo importante per ogni tipo di attività e di lavoro, con le dovute personalizzazioni e adattato alle necessità e agli obiettivi da raggiungere.